Le stufe Becchi hanno accompagnato e riscaldato l’Italia per circa 120 anni.
I più grandi se le ricordano nelle aule delle scuole con i loro “cassettoni” ed il loro inconfondibile calore.
Erano presenti pressoché in tutti gli edifici pubblici comuni ospedali, caserme e quant’altro.
E’ stata una storia industriale di altri tempi quando fare impresa era anche una responsabilità verso le maestranze presenti in azienda, ed il territorio dove sorgeva la fabbrica.
La famiglia Becchi ai tempi ha assolto i suoi dovere egregiamente, basti sapere che agli inizi del 1930 la Becchi per i suoi operai aveva allestito una mensa, uno studio medico, una palestra ed un dopolavoro. Cose all’epoca tutt’altro che scontate (anche oggi).
Oggi le stufe Becchi a cassettoni sono diventate oggetti di culto tra gli appassionati, non crediate comunque, che non siano valide tutt’oggi; hanno un ottimo giro fumi ed una elevata resa.
A Sabbioneta in provincia di Mantova un’azienda le ristruttura facendole tornare all’originale bellezza.
Se trovate quindi nella cantina della nonna una stufa Becchi sappiate che avete per le mani un piccolo tesoro ed un pezzo della storia del nostro paese.
Questa azienda venne costituita nel 1858 da Pietro Becchi, anche se, in realtà, già nel 1850 lo stesso Pietro e suo padre Valerio avevano avviato l’attività produttiva. Nel primo anno di attività vennero fabbricate circa venti stufe.
Negli anni seguenti Pietro Becchi lavorò alacremente nell’intento di perfezionare il proprio prodotto e rivolse le sue principali attenzioni alla composizione dell’impasto di argilla allo scopo di ottenere un prodotto omogeneo, poroso, nonché leggero e congegnato in modo tale da resistere ai repentini sbalzi di temperatura.
Fu da questi studi che nacque la stufa monolitica in cotto d’argilla. Nel 1866 i due artigiani, con l’ausilio di 4 operai, erano già in grado di produrre circa 120 stufe all’anno. Questo rese Forlì uno dei centri più importanti e rinomati, a livello europeo, nella produzione di stufe in cotto, per oltre mezzo secolo. Lo sviluppo di questa attività, organizzata ancora in modo artigianale, fu lento ma continuo.
Progressivamente, ai primi prototipi, si affiancarono modelli decorati. Già intorno al 1870 l’azienda cominciò ad assumere una dimensione nazionale quando venne creata la stufa a “cassettoni” , chiamata poi “stufa a ripiani”. Numerosissimi furono i mercati conquistati, quali ad esempio il Sudamerica e tutto il bacino del Mediterraneo. Negli anni tra il 1900 e il 1910 l’azienda vinse ben 15 medaglie d’oro alle esposizioni di Londra, Parigi, Lione, Marsiglia, Bordeaux, Roma, Perugia e Foligno. Le richieste si impennarono tanto che la produzione venne progressivamente incrementata raggiungendo, nel 1906, le 1500 stufe.
In quell’anno morì Pietro Becchi e la figlia Norina, per salvare le sorti dell’azienda, ne affidò la conduzione all’industriale forlivese Ettore Benini, che se ne occupò fino al 1919, anno in cui la fabbrica ritornò ad essere guidata dalla famiglia Becchi. Venne rilevata infatti dai nipoti Pietro e Giuseppe Mattioli Carpi che la battezzarono “Ditta Eredi di Pietro Becchi.”
Questi riuscirono ad ampliare la produzione, tanto che nel 1939 le stufe fabbricate arrivarono a 20000 unità. Questo sviluppo ebbe ripercussioni anche sulle maestranze che superarono le 200 unità.
In quegli anni la fabbrica rinnovò i propri macchinari, attrezzandosi con impianti moderni, per riuscire a soddisfare le nuove esigenze del mercato, che cominciava a domandare le famose cucine economiche a legna e a carbone in lamiera stampata. Questo cambiamento di rotta fu imposto dalla diffusione, all’inizio degli anni ‘30, dei moderni impianti di riscaldamento centralizzati che ponevano seri problemi all’azienda dedica esclusivamente alla fabbricazione di stufe.
Questo nuovo ramo produttivo costituì per due decenni il perno dell’attività aziendale alle 1000 cucine, fabbricate nel 1930, si arrivò nel 1932 all’imponente cifra di 8000.
In seguito i fratelli Mattioli Carpi iniziarono a diversificare la produzione, in modo tale da rispondere alle sempre diverse e crescenti esigenze delle famiglie italiane. Venne addirittura realizzato, internamente alla fabbrica, un ufficio progetti, nel quale tecnici ed ingegneri studiavano per realizzare oggetti dalle forme fantasiose. Lo stabilimento era giunto ad occupare, intorno al 1932-33, una superficie di circa 14000 m2. Gli addetti erano saliti a circa 300 e a favore di questi l’azienda allestì refettori, un moderno gabinetto medico, una palestra, un dopolavoro e una mutua, sovvenzionata dalla Becchi stessa.
Nella seconda metà degli anni ’30 la ditta si consolidò ulteriormente, grazie alle commesse belliche. Nel 1935 la produzione di cucine economiche ammontava a 24000, con un impegno di 600 ton di lamiere. Gli occupati salirono a oltre 600 e, nei mesi seguenti, si registrarono ulteriori incrementi. La domanda sembrava in aumento, ma a fronte di tutti questi aspetti positivi si verificò, già a partire dal 1938, un progressivo contingentamento, per usi civili, dei materiali ferrosi; prima il ferro poi il rame.
La Becchi risentì fortemente della scarsità di queste materie prime e quasi immediatamente si buttò nel mercato parallelo. Iniziò a fare incetta di lamiere, non a fini speculativi, ma solamente perché questo era un materiale fondamentale nella produzione di cucine economiche.
Nonostante il calo produttivo, i livelli quantitativi di lamiera e altre materie assegnate dalle autorità centrali alla Becchi denotano il trattamento di favore garantito all’azienda in quegli anni. Infatti nei primi mesi del 1938 ottenne il 24% delle merci richieste, a fronte del 10% su scala nazionale e nel 1939 questa percentuale del 24% salì ulteriormente fino a raggiungere il 45%. Nonostante questo trattamento privilegiato il consumo totale di materiale ferroso passò da 9000q.li nel 1935 a 3915 nel 1940. Così pure registrarono un calo massiccio di addetti, che scesero a 250 unità.
Ulteriori difficoltà colpirono l’azienda nell’aprile del 1941, quando un decreto impose l’impiego di materiale da riutilizzo per la fabbricazione delle cucine economiche. Seguirono costanti perdite, tamponate dalle direttive che rivalutarono, nel campo del riscaldamento, la produzione di stufe in cotto. Grazie a questa manovra i bilanci chiusero, durante gli anni del secondo conflitto mondiale, con utili. Come diretta conseguenza di ciò migliorò anche la situazione occupazionale, tanto che alla fine del 1941 risultavano impegnate 721 persone, il 40% delle quali erano rappresentato da donne, apprendisti e minorenni.
Il 12 gennaio 1940 l’azienda diventò una Società per Azioni, con la ragione sociale “Società per Azioni Becchi” e ne fu fissata la durata fino al 1960. Venne sottoscritto e versato un capitale di £3.000.000, costituito da 300 azioni, in mano a due soli azionisti: Giuseppe Mattioli Carpi, allora presedente del Consiglio Amministrazione e Pietro Mattioli Carpi, Consigliere Delegato. La sede venne fissata a Forlì e si dichiarò che l’oggetto dell’attività sociale era costituito dalla costruzione e commercio di stufe in cotto, di cucine economiche per famiglie e comunità, oltre che di stufe in lamiera e ghisa, cucina a gas, articoli affini.
Nel gennaio del 1946, a seguito di assemblea, venne deliberato che la Società potesse essere gestita anche da un Amministratore Unico; venne altresì stabilito che fino al 28 febbraio 1948 fosse gestita da Giuseppe Mattioli Carpi, in qualità di amministratore Unico. Dopo tale data l’amministrazione passò ad un Consiglio di cinque membri, in carica per un triennio. Nel 1956 il capitale sociale ammontava a £ 99.000.000 e l’attività produttiva si era diversificata ulteriormente, arrivando a coprire anche la fabbricazione di frigoriferi, scaldabagni a gas elettrici e lavatrici.
Il carattere sempre più nazionale dell’azienda cominciava a farsi sentire, ne sono prove l’istituzione nel marzo 1960, di una succursale a Milano e l’apertura di un magazzino deposito e smistamento merci a Torino.
Nonostante questo fiorente sviluppo e le buone prospettive, i Mattioli Carpi non riuscirono a gestire fino in fondo il grande rinnovamento che stava attraversando l’Italia alle soglie del boom economico e tra il 1960 e il 1961 entrambi si ritirarono dalle scene e subentrarono tre nuovi proprietari: Giulio Tamaro, in qualità di Presidente, Felice Riva, come Vicepresidente e Bino Cicogna, nelle vesti di Consigliere delegato. Nel 1963 fu raggiunta una produzione di 25.000 cucine a legna e 55.000 cucine a gas e venne inoltre impostata la produzione di caldaie a gas per il riscaldamento centralizzato. Nello stesso anno furono avviati i lavori per la costruzione del nuovo stabilimento a Villanova di Forlì (ultimato nel 1965) su di un’aerea di 150.000m2. Sempre nel 1963 la sede della società venne trasferita da Forlì a Milano. L’anno seguente venne avviata la produzione di elettrodomestici con marca “ELECTA” (cucine e fornelli a gas, caloriferi a kerosene, stufe a gas, stufe a fuoco continuo, cucine economiche, frigoriferi e lavabiancheria).
Fu istituita una sede secondaria a Forlì, presso la direzione amministrativa della società e fu nominato rappresentate stabile di questa sede secondaria il Presidente del Consiglio di Amministrazione, Giulio Tamaro, al quale furono attribuiti tutti i più ampi poteri. Nel 1965 venne deliberato un aumento del capitale sociale, che passò da £ 495.000.000 a £ 891.000.000, mediante l’emissione di 1.200 nuove azioni nominali. Tre anni dopo la sede della società fu trasferita da Milano nuovamente a Forlì e alcuni mesi dopo da Forlì a Pordenone. In quello stesso anno ebbero inizio la produzione e la vendita di apparecchi televisivi.
Nel 1968 il capitale sociale era salito a £ 1.300.000.000 e la durata venne prolungata fino al 28 febbraio del 2000. Il 1° gennaio 1969 l’attività dello stabilimento fu sospesa in seguito ad affitto del complesso aziendale al “ Gruppo Industriale Elettrodomestici S.p.A. di Pordenone”. In seguito poi all’incorporazione del “ Gruppo Industriale Elettrodomestici S.p.A.” nella “ industrie A. Zanussi S.p.A.”, il complesso aziendale venne affittato alla “Zanussi” stessa a partire dal primo gennaio 1970.
Infine il 31 luglio del 1971 la Società denunciò la cessazione di ogni attività , in seguito alla fusione per incorporazione della Società per Azioni Becchi nelle industrie A.Zanussi S.p.A. le quali, a loro volta, furono poi rilevate, nel 1984 dal Gruppo Elettrolux, facente capo alla famiglia svedese Vallemberg.
Scritto da: Manlio Marta
6 Comments
Ho una Stufa Becchi a tre piani cerco un riparatore ,io abito in provincia di Modana chiedo gentilmente un aiuto
io per ora sono qui, accanto alla mia stufa Becchi a tre elementi. ho letto la storia con molto interesse. la stufa mi riscalda benissimo un ambiente grane , e di forma difficile, 11 metri per 6, alto più di tre metri. ho una stufa a gas per le emergenze, ma per ora non è accesa, e un piacevole camino che adesso accendo solo per le feste, ma non ce la faceva a riscaldare così tutto l’ambiente. io sono una ceramista, e sarei felice di poter costruire una stufa. non sapevo che la Becchi fosse durata fino al 1980
Salve a tutti. Qualcuno mi sa dire come si montano gli elementi che sostengono i moduli (cassettoni) il fimo gira in quelli senza divisorio o con divisorio?
Bravi per la storia…. Mi hanno regalato stufa terracotta a tre livelli, vorrei montarla correttamente per il girofumi ma non trovo nessun schema… Anche un consiglio per il materiale di montaggio per evitare fughe di fumo. Cordialità
Le consiglio di rivolgersi al Centro Becchi di Sabbioneta (Mantova).
Cordialità, Gli Spazzacamino di Manlio.
Leggendo questa storia mi ritornano in mente le tante ore che passavo leggendo i miei libri vicino alla nostra Becchi